sabato 30 gennaio 2016

SETTANT'ANNI NON BASTANO.

L'importanza della memoria.




Era il 27 gennaio 1945 quando l'esercito russo aprì i cancelli del campo di concentramento di Auschwitz. In questi giorni sento che qualcuno si chiede se valga ancora la pena di commemorare questo evento dopo tutti gli anni che sono passati.
Ho avuto il privilegio di poter incontrare due sopravvissuti al campo di Mauthausen: entrambi, col loro sguardo ancora prigioniero di quel luogo, di quel tempo, mi hanno detto che appena tornati a casa avevano provato a raccontare ai loro cari quello che era successo, ma non erano stati creduti, scambiati per pazzi, persino derisi. Così erano stati zitti, per decenni.
Il rischio che corriamo oggi è proprio questo: considerare l'abisso nel quale siamo sprofondati troppo orrido per essere vero, troppo antico per essere importante, troppo, troppo da sopportare.
Settant'anni, settantuno, cento, non sono abbastanza per smettere di ricordare. Dovremmo provare a immaginare di essere lì, noi, nudi sotto la pioggia invernale, circondati da cani che tentano di azzannare le nostre parti intime. Essere lì tanto affamati da sgattaiolare fuori dalla baracca la notte,rischiando la vita, per staccare qualche pezzo di carne commestibile ai cadaveri degli altri prigionieri. Essere lì, salire una scalinata con un blocco di granito in spalla, e aver paura di arrivare in cima, perchè là c'è uno che si diverte a spingerti giù dalla scarpata mentre i suoi compagni di sotto ti sparano come a un piattello. Essere lì, ammassati nelle docce, quando un sadico ufficiale apre l'acqua bollente, e sei costretto a fare a pugni per conquistare l'angolino più riparato e non ustionarti.
E nemmeno questo è abbastanza. Sentire il dolore delle vittime non è abbastanza. La vera memoria, ciò che dobbiamo tenere a mente, è che noi eravamo anche quelli che aizzavano i cani, quelli che strappavamo i denti ai prigionieri, eravamo noi che dividevamo i gruppi troppo numerosi: a destra quelli da far lavorare, a sinistra quelli da uccidere. Eravamo noi quelli che catturano un fuggiasco e lo immergono in una vasca d'inverno fino all'assideramento, noi, che gettiamo gli altri nel baratro e facciamo fuoco sul loro corpo senza speranza.
Siamo noi, ancora oggi, quelli della pietra e della fionda, quelli del terrorismo e del genocidio, Siamo noi, gli uomini,quelli capaci di diventare mostri. Se non lo diventiamo è perchè dopo oltre settant'anni la nostra abominevole caduta in quell'inferno rimane impressa nella memoria.

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