lunedì 30 novembre 2015

Purificazione.

Racconto vincitore del concorso Giallo Miele 2012.





La signora Matteucci tornò dalla sua vacanza alle terme e non trovò suo marito ad accoglierla. Non che dopo oltre quarant’anni di matrimonio si aspettasse una festa a sorpresa, ma almeno una mano per portare dentro i bagagli poteva dargliela! Nessuno gli avrebbe risparmiato una bella ramanzina.
Entrò faticosamente in casa trascinando le valigie e lo chiamò. Lo chiamò nuovamente, più forte, poi controllò che non fosse in giardino. Probabilmente era in cantina a trafficare con le sue bottiglie di vino e non poteva sentirla. La donna aprì il frigorifero penosamente vuoto, come c’era da aspettarsi  da un uomo sposato dopo una settimana di assenza della moglie, trovò comunque una bottiglietta di thè freddo, si sedette sul divano e accese il televisore. Rimase perplessa quando, terminata la puntata dell’Eredità, suo marito non si presentò per la cena, e decise di andare a controllare.
Al centro della cantina vide un grosso sacco di plastica ben chiuso, di quelli che si usano per i rifiuti. La sagoma di ciò che conteneva non lasciava dubbi. La signora Matteucci corse verso il cadavere di suo marito, strappò il sacco disperatamente e urlò osservando inorridita le proprie mani.

Il nuovo arrivato, l’appuntato Vito Ragusa, indossava sempre gli stessi occhiali neri e aveva sempre la medesima espressione seria, imperturbabile, a tutte le ore, in tutte le situazioni.  Come Sylvester Stallone quando recita. Sembrava anche l’unico di tutta la Compagnia a  non essere distratto dalla procacità del Maresciallo Stefania Abbondanti e probabilmente era per questo che l’avevano affiancato a lei.
“Il Capitano Zamboni non si occupa direttamente dei casi di omicidio?” Domandò il giovane carabiniere.
“Oh, sì.” Rispose la donna. “Ma ha un problema con i cadaveri: se ne vede uno si sente male, vomita, sviene. Non è uno spettacolo consigliabile.”
“Non sarà peggio che vedere la scena di un omicidio.”
“Me lo dirà la prima volta che le toccherà di portare la divisa in lavanderia.”
Ragusa non rispose. Fermò l’auto nei pressi della villetta dei Matteucci e scese, seguendo il Maresciallo Abbondanti nell’edificio. Un infermiere li accolse: “Signori.”
“Avete spostato il corpo? La moglie dove si trova?” Stefania si guardava attorno per capire se ci fossero indizi di quel che era successo.
“Abbiamo solo controllato che fosse effettivamente morto. La signora si trova in ospedale, è sotto shock. Il corpo è in cantina, vi accompagno.”
Scesero una rampa di scale non molto ben illuminata. Il cadavere era sdraiato sul pavimento, ancora per metà dentro il sacco. Il Maresciallo si mosse decisa, per esaminarlo da vicino.
“Faccia attenzione!” Esclamò troppo tardi l’infermiere.
Stefania Abbondanti scivolò battendo il sedere a terra e proseguì slittando su una sostanza viscosa fino a trovarsi sdraiata accanto al morto. Alzò il busto di scatto e gridò acutamente scuotendo le mani: “Oddio che schifo, cos’è questa roba? Toglietemela.”
“Sembrerebbe miele, Maresciallo.” Arguì Ragusa, dritto in piedi sull’ultimo gradino della scala, con il cappello sotto braccio e gli occhiali neri  nella penombra.

“È piuttosto insolito.” Ammise il Capitano Zamboni. “Mi faccia capire bene, Abbondanti. Il cadavere era immerso nel miele, dentro un sacco per la spazzatura?”
“Sissignore. Quando la moglie della vittima ha aperto il sacco, il miele si è sparso per tutta la cantina.”
“E il maresciallo c’è scivolata sopra, inzaccherandosi tutta.” Aggiunse Ragusa.
“Ho saputo.” Affermò Zamboni con la sua solita, paciosa faccia da schiaffi. “A quanto pare gran parte del personale della Compagnia è solleticato dal pensiero del Maresciallo Abbondanti tutto ricoperto di miele.”
La ragazza si infiammò in volto e sbottò: “Ho fatto una brutta caduta e sono ancora dolorante! Invece di fantasticare su certe cose i miei colleghi dovrebbero pensare alle mie povere chiappe!”
Ragusa fissò i suoi occhiali neri verso la collega, il sorriso sornione di Zamboni si allargò ancora di più, Stefania Abbondanti stavolta sbiancò: “Cioè… Intendevo dire… non in quel senso… Io…”
“Ho capito, Abbondanti.” Disse il Capitano facendosi serio.
“Perché mai l’assassino si è preso la briga di mettere il cadavere nel miele? Cosa significa?” Senza aspettare una risposta aggiunse: “Maresciallo, avvisi il Professor Deangeli che stiamo andando a fargli visita.”

Aldo Deangeli era un professore di storia con la passione dell’apicoltura. Tutti in paese prima o poi avevano comprato un barattolo di miele da lui e avevano ascoltato un suo aneddoto sulle api e sulla loro importanza, Zamboni compreso.
Arrivarono accolti dall’abbaiare dei cani. “Non vi preoccupate, sono innocui.” Disse l’uomo ai carabinieri che stavano scendendo dall’auto.
“Che carini, quanti ne avete?” Domandò la Abbondanti carezzando un grosso bastardone che le si era avvicinato.
“Questi tre, più uno piccolino che teniamo in casa. Non abbiamo figli e loro ci fanno tanta compagnia. Entrate pure. Al telefono mi avete detto che vi servono informazioni sul miele, ha a che fare con l’uccisione di Matteucci?”
“Sì, speriamo che lei possa aiutarci.” Rispose Zamboni varcando la porta.
“Mi avete trovato per puro caso. Sono tornato stamane da Pisa, dove ho tenuto una serie di lezioni. Ma lo sa che io e Matteucci eravamo compagni di scuola alle elementari. Pensi che l’ho incontrato due settimane fa, dopo anni che non ci vedevamo.”
“Ma davvero?”
“Già, prima di partire ho portato mia moglie fuori a cena. Al ristorante c’erano anche Matteucci e Tarroni, un altro compagno di scuola; loro sono sempre stati due amiconi fin da piccoli. Mi hanno salutato, a fatica però, anche perché erano lì con i figli e una gran nidiata di nipotini che facevano una tale confusione.”
“Gli ultimi momenti felici. Nessuno se ne rende mai conto in questi casi. Professore, il corpo di Matteucci è stato sommerso nel miele, mi chiedevo quale significato simbolico potrebbe avere.”
“Interessante!” Esclamò l’accademico. “E anche terribile. Gli egiziani usavano il miele, mescolato alla propoli, per imbalsamare i loro morti. Presso gli antichi greci, l’ambrosia era considerato assieme al nettare il nutrimento degli dei e produceva sangue divino, donando immortalità ed eterna giovinezza. Entrambi gli alimenti venivano preparati da Demetra, ghiotta di miele, con l’aiuto delle sue sacerdotesse, chiamate per questo Melisse.”
L’uomo smise di parlare e si rivolse alla moglie che stava quietamente seduta con il suo maltese sulle ginocchia: “Lidia, tu conosci già tutte queste storie, vorresti portare un poco di ricotta con quella mia nuova produzione? Vorrei farla assaggiare ai nostri ospiti.”
L’elegante signora si alzò poggiando la mano sulla spalla del marito e sorridendo si avviò in cucina, seguita dal suo cagnolino bianco.
“Ma dicevo, il valore simbolico del miele: ci sono riferimenti molto interessanti nella cultura orientale. Nei Veda il miele è considerato elemento di fertilità, portatore di vita, il grande oceano di sperma, principio fecondatore. Nell’antica cultura giapponese, esso è simbolo della terra e del centro, tanto che tutti gli alimenti dati all’Imperatore, trascendente figura divina, erano conditi con il miele.”
Il professore fece una breve pausa compiaciuta, quindi proseguì: “Ma non credo che queste cose vi siano utili. Al contrario vi interesserà sapere che nell’antica Roma i seguaci del culto di Mitra erano gerarchicamente divisi in vari gradi di iniziazione: i Leoni di Mitra erano un grado intermedio, si occupavano del fuoco degli altari e dovevano preservare la mani pure da ogni atto che rechi dolore, danno o infamia. Poiché erano legati al fuoco purificatore, durante le cerimonie potevano adoperare per l’abluzione solo il miele, essendo l’acqua notoriamente nemica del fuoco. Così con esso si purificavano le mani e la lingua dagli elementi impuri e peccaminosi.”
“Così l’assassino avrebbe purificato il povero Matteucci…” Commentò Stefania Abbondanti.
Rientrò la signora Lidia con un vassoio e lo appoggiò in tavola. “Ecco qua.” Disse la donna. “L’ultimo prodotto del nostro alveare, aromatizzato all’anice.”
“Sembra ottimo.” Constatò il Capitano allungando bramosamente la mano verso una ciotola.
“Lo può ben dire.” Affermò orgogliosamente Deangeli. “Ritengo che ogni cosa, cosparsa di miele, acquisisca una grande sensualità.”
Il Capitano alzò un sopracciglio in direzione della Abbondanti, che non riuscì a evitare un certo rossore sulle guance.
“Sto parlando di cibo, naturalmente.” Continuò il Professore con un lieve sorriso ironico, dopo aver notato la scena. La ragazza frugò nervosamente  nella sua borsa e ne estrasse un barattolino: “Ho portato un campione del miele che ricopriva la vittima, vuole darci un’occhiata?”
Il Professor Deangeli esaminò la sostanza facendola colare da un cucchiaino. “Piuttosto liquido e trasparente, ambrato, quasi dorato. Dall’odore direi che è miele di marruca. Dovrei assaggiarlo per esserne sicuro, ma temo che il suo retrogusto di cadavere non sia di mio gradimento.”
Zamboni piantò lì una sonora risata, domandò: “Dove lo vendono?” Poi infilò in bocca un'altra grossa forchettata di ricotta.
“È abbastanza raro. Viene prodotto quasi esclusivamente in toscana e solo nelle annate propizie.”

L’indomani, il Maresciallo Abbondanti aveva fatto un giro di telefonate e non ci aveva messo molto a scoprire che una grossa quantità di miele di marruca era stata acquistata da Paolo Tarroni pochi giorni prima.
“Tarroni? Quello che era a cena con la vittima? L’amicone del Matteucci?” Domandò Zamboni alzando lo sguardo dal dossier del caso.
“Proprio lui. Ho mandato Ragusa e Azzolini a prenderlo per poterlo interrogare.”
“Bene. Stavo esaminando questa relazione: non ci sono segni di scasso, l’assassino è entrato con il consenso della vittima, e l’ha soffocata, probabilmente con un sacchetto di plastica. Vedo che il corpo ha una specie di bruciatura sulla faccia. Da dove può venire?”
“Si direbbe il segno di un taser, Signore. Uno strumento che paralizza le persone tramite una forte scarica elettrica.”
“Già. Quindi l’assassino non era sicuro di poter sopraffare un uomo di oltre sessant’anni. Mi pare che non vendano questa roba in Italia.”
“Si acquista abbastanza facilmente su internet.”
“Capisco. E non abbiamo testimonianze utili. A quanto pare Tarroni è il nostro unico sospettato.”
“Non sembra convinto, Signore.”
“Di solito quando due amici di vecchia data si ammazzano, lo fanno senza tante storie.”
Mentre Zamboni rifletteva su queste parole, il suo telefono squillò: Ragusa e Azzolini avevano trovato Paolo Tarroni nel suo appartamento, chiuso dentro un sacco pieno di miele.

Zamboni annunciò che sarebbe andato a tagliarsi i capelli.
Stefania Abbondanti sorrise: “Non spettegolate troppo su di me…” Ma sapeva che quel giorno si sarebbe parlato solo delle due vittime. Il Capitano aveva bisogno di raccogliere informazioni su di loro e nessuno poteva saperne più di Enrico il barbiere.
“Capitano, io e quei due abbiamo fatto i giovani insieme! Che brutta fine.” Affermò l’uomo mentre tagliava i capelli al carabiniere. “Li chiamavamo Porfirio e Rubirosa, perché avevano sempre le ragazze più belle. Anche dopo che si sono sposati non hanno mica smesso di fare i playboy. Poi dopo cinque o sei anni si sono calmati anche loro.”
“Si sono calmati?” Chiese il Capitano.
“Eh sì. Si vede che le mogli hanno cominciato a dire davvero. Hanno smesso tutti e due di fare i galletti.”
“Tarroni era vedovo. Magari aveva ricominciato a frequentare qualche donna.”
“Non credo mica. Due anni fa ha subito una certa operazione che non consente più di fare la ginnastica artistica. Quei due lì erano tipi tranquilli, si godevano la pensione; più che altro gli piaceva mangiare bene, e tanto.”
“Non sono morti di indigestione, però.” Commentò amaramente Zamboni.
“Ad ogni modo sarà meglio che lo troviate in fretta questo assassino, prima che Bruno Vespa faccia un plastico del paese. E poi la gente ha paura: Edda, la vecchia mammana, si è fatta accompagnare a Vicenza, a casa dei suoi figli. Figuriamoci che non aveva voluto uscire di casa neanche quella volta che avevano evacuato la sua strada per una fuga di gas. doveva proprio essere terrorizzata. E i miei clienti cominciano a dire che c’è un serial killer in giro.”

Il ragazzo delle pizze suonò in caserma e fece la sua consegna.
Zamboni non aveva intenzione di riposare finché non avesse trovato almeno una pista da seguire, un sospettato, un ipotetico movente. Naturalmente non avrebbe concesso di riposare nemmeno al suo Maresciallo preferito.
“Gorgonzola e peperoni? Abbondanti, questa non mi sembra una pizza da ragazze.”
“Conosce molte ragazze, Capitano?”
“Ragazze di una volta.” Sorrise lui. “In paese dicono che è opera di un serial killer.”
“I due omicidi sono identici: l’assassino si fa aprire la porta, immobilizza la vittima con un taser, la soffoca e la chiude in un sacco pieno di miele. Però i serial killer di solito colpiscono vittime a caso, questi due sono collegati.”
“Cos’è che li collega? Erano amici, ma non abbiamo trovato niente che possa anche lontanamente giustificare una volontà omicida. Avete scoperto perché Tarroni aveva comprato tutto quel miele?”
“Uno dei suoi figli dice che voleva regalarne un barattolo a testa ai parenti in occasione della cresima della nipotina. Bomboniere insomma.”
“Una cresima che lui non vedrà. Figli e nipoti sono una gioia che bisogna godersi ogni volta che si può. Che mi dite dei sacchi? Erano del Tarroni anche quelli?”
“Non ne abbiamo trovati di uguali in nessuna delle due abitazioni.”
“Quindi l’assassino se li è portati da casa. Ha ucciso il Tarroni già con l’intenzione di metterlo dentro un sacco,  poi ha visto il miele e ha deciso di purificare la vittima, conservandone metà per il Matteucci. Cosa voleva dire? Perché li ha infilati lì dentro?”
“Li odiava, li considerava spazzatura?”
Zamboni scosse il capo. “In questo caso sarebbe stato sufficiente ammazzarli. È qualcosa di più profondo. Qualcosa di antico, probabilmente: sembra che i due fossero diventati tutti casa, famiglia e ristorante.”
“Diventati?”
“Me li hanno descritti come donnaioli impenitenti, da giovani.”
“Potrebbe essere una donna dal cuore infranto? Dopo tutto questo tempo? Che la passione si sia riaccesa nel rivedere uno dei due?”
Stefania Abbondanti aveva notato quello sguardo negli occhi del Capitano, lo sguardo che aveva quando un’idea gli attraversava la mente e non riusciva ad afferrarla. Sapeva che il cervello di Zamboni stava elaborando un’ipotesi, ma che aveva la necessità di essere aiutato, perciò continuò a parlare nella speranza di dargli qualche spunto utile. “Forse un figlio illegittimo. No, in quel caso avrebbe ammazzato solo uno dei due. Rimane ancora l’ipotesi del culto di Mitra. Se vuole posso fare una ricerca per vedere se esiste qualche pazzoide che lo pratica, anche se ne dubito: io non ne avevo mai sentito parlare prima d’ora.”
“Io nemmeno. Sono scettico su questa pista, ma non abbiamo altro. Magari riusciamo a restringere il campo dei sospettati. Coloro che hanno conoscenze così specifiche devono essere piuttosto rari .”
Il Capitano appoggiò nel piatto la fetta di pizza che stava portando alla bocca, meditò ancora un attimo in silenzio, poi il suo sguardo mutò: “Abbondanti, lei sa cos’è una mammana?”
“Non ne sono sicura, Signore.”
“Già, lei è molto giovane. Chiami la Compagnia di Vicenza, che fermino la signora Edda Forti. Inoltre deve procurarmi una cartella clinica.”

Albeggiava, Il Capitano Zamboni finì di sorseggiare un caffè; era di umore malinconico quando si sedette di fronte alla donna. Sfogliò la cartella clinica, tirò un sospiro profondo: “Dovremo farle qualche domanda, se vuole può chiamare un avvocato, in ogni caso dovremo trattenerla qui finché non sarà terminata la perquisizione di casa sua.”
“Non vi farò perdere tempo. Il taser è dentro una scatola di scarpe, nell’armadio della mia stanza da letto.”
“È una confessione?”
La moglie del Professor Deangeli chiuse gli occhi. Il suo volto bello e altero, sebbene segnato dall’età, tradì solo per un attimo il dolore che provava. “Non ho mai sperato di sfuggire alla giustizia, mi dispiace solo di non aver finito il lavoro.”
“Si riferisce a Edda? Voleva uccidere anche lei?”
“Era stata il loro strumento. Avevo conservato un poco di miele anche per lei. Sì, la volevo ammazzare.”
“Perché l’aveva resa sterile?”
“Proprio così. Fu lei a farmi quell’operazione, a togliermi mio figlio e la possibilità di averne.”
“Era rimasta incinta di Matteucci e Tarroni aveva coperto il suo amico? O viceversa?”
“Chi lo sa?” Sorrise dolorosamente la donna. “Erano belli, sapevano dire le cose giuste e io avevo poco meno di diciotto anni. Finimmo tutti e tre nello stesso letto. Quando seppero che aspettavo un bambino sembravano impazziti. Avevano delle famiglie, delle mogli, mi urlarono contro con una tale veemenza che non fui capace di oppormi. Abortire era ancora illegale, la legge uscì un anno dopo: mi portarono da Edda la mammana. Mi infilò quei ferri orribili, tirò fuori il feto e lo chiuse in un sacco di plastica.”
La donna fu costretta a smettere di parlare, perché il suo spirito era troppo lacerato dal rivivere quel ricordo.
Zamboni posò lo sguardo sulla cartella clinica: “In seguito fu ricoverata in ospedale, a causa di quell’aborto clandestino rischiò la vita. Si salvò ma rimase sterile.“
Lidia Deangeli strinse le labbra, tenendo le mani sulle ginocchia contrite e continuò: “Ho vissuto per anni con questo dolore dentro, con il rimpianto della vita che avrei potuto vivere. Quella sera, quando li ho visti al ristorante, felici, incuranti, con i loro figli e i loro nipoti, è esploso il mio odio. La loro gioia ha innescato il mio rancore. Ho atteso che mio marito partisse, ho ordinato un taser tramite un sito internet russo, appena mi è arrivato sono andata da Tarroni e l’ho ucciso. L’ho messo in un sacco della spazzatura: doveva finire come mio figlio. La stessa notte ho ucciso anche Matteucci.”
“Lo sa, è stato il miele a farmi sospettare di lei. Poche persone potevano sapere che il miele è considerato un elemento purificatore, e lei ne aveva di certo sentito parlare da suo marito. Partendo da questa ipotesi, mi sono chiesto quale rapporto poteva esserci tra lei e le due vittime: vista la fama dei due, da giovani potevate essere stati amanti, ma il movente? Sapevo che lei non aveva figli, e che Edda la mammana era fuggita in preda alla paura. La cartella clinica ha dato una prima conferma della mia ipotesi, e stanotte Edda ha raccontato tutta la storia ai miei colleghi di Vicenza.”
“Gìà, il miele. L’ho visto, ammucchiato sul tavolo, e mi sono venuti in mente i racconti di mio marito, ma non volevo purificarli, quei due. No, che vadano all’inferno immondi come sono. Il miele è anche un simbolo di fertilità: loro avevano rubato la mia, che se la tenessero anche da morti.”

venerdì 27 novembre 2015

Le 36 regole per scrivere correttamente.


36 consigli con esempio incorporato scritti da William Safire, poi tradotti da Umberto Eco. Fatene tesoro, aspiranti scrittori.








1. Evitate le allitterazioni, anche se allettano gli allocchi.
2. Non è che il congiuntivo va evitato, anzi, che lo si usa quando necessario.
3. Evita le frasi fatte: è minestra riscaldata.
4. Esprimiti siccome ti nutri.
5. Non usare sigle commerciali & abbreviazioni etc.
6. Ricorda (sempre) che la parentesi (anche quando pare indispensabile) interrompe il filo del discorso.
7. Stai attento a non fare… indigestione di puntini di sospensione.
8. Usa meno virgolette possibili: non è “fine”.
9. Non generalizzare mai.
10. Le parole straniere non fanno affatto bon ton.
11. Sii avaro di citazioni. Diceva giustamente Emerson: “Odio le citazioni. Dimmi solo quello che sai tu”.
12. I paragoni sono come le frasi fatte.
13. Non essere ridondante; non ripetere due volte la stessa cosa; ripetere è superfluo (per ridondanza s’intende la spiegazione inutile di qualcosa che il lettore ha già capito).
14. Solo gli stronzi usano parole volgari.
15. Sii sempre più o meno specifico.
16. Non fare frasi di una sola parola. Eliminale.
17. Guardati dalle metafore troppo ardite: sono piume sulle scaglie di un serpente.
18. Metti, le virgole, al posto giusto.
19. Distingui tra la funzione del punto e virgola e quella dei due punti: anche se non sempre è facile.
20. Non usare metafore incongruenti anche se ti paiono “cantare”: sono come un cigno che deraglia.
21. C’è davvero bisogno di domande retoriche?
22. Sii conciso, cerca di condensare i tuoi pensieri nel minor numero di parole possibile, evitando frasi lunghe – o spezzate da incisi che inevitabilmente confondono il lettore poco attento – affinché il tuo discorso non contribuisca a quell’inquinamento dell’informazione che è certamente (specie quando inutilmente farcito di precisazioni inutili, o almeno non indispensabili) una delle tragedie di questo nostro tempo dominato dal potere dei media.
23. Gli accenti non debbono essere nè scorretti nè inutili, perchè chi lo fa sbaglia.
24. Non si apostrofa un’articolo indeterminativo prima del sostantivo maschile.
25. Non essere enfatico! Sii parco con gli esclamativi!
26. Neppure i peggiori fans dei barbarismi pluralizzano i termini stranieri.
27. Scrivi in modo esatto i nomi stranieri, come Beaudelaire, Roosewelt, Niezsche e simili.
28. Nomina direttamente autori e personaggi di cui parli, senza perifrasi. Così faceva il maggior scrittore lombardo del XIX secolo, l’autore del “5 maggio”.
29. All’inizio del discorso usa la captatio benevolentiae, per ingraziarti il lettore (ma forse siete così stupidi da non capire neppure quello che vi sto dicendo).
30. Pura puntiliosamente l’ortograffia.
31. Non andare troppo sovente a capo.

Almeno, non quando non serve.

32. Non usare mai il plurale maiestatis. Siamo convinti che faccia una pessima impressione.
33. Non confondere la causa con l’effetto: saresti in errore e dunque avresti sbagliato.
34. Non indulgere ad arcaismi, apax legomena o altri lessemi inusitati, nonché deep structures rizomatiche che, per quanto ti appaiono come altrettante epipfanie della differanza grammatologica e inviti alla deriva decostruttiva eccedano comunque le competenze cognitive del destinatario.
35. Non devi essere prolisso, ma neppure devi dire meno di quello che.
36. Una frase compiuta deve avere

mercoledì 25 novembre 2015

5 citazioni di Vladimir Putin

Putin, il terrorismo e la politica estera.


Vladimir Putin è un protagonista  nel panorama politico mondiale, un personaggio molto discusso del quale però non  si può dire che non abbia le idee chiare.


Citazioni


1. Noi perseguiteremo dappertutto terroristi, e quando li troveremo, mi perdoni l'espressione, li butteremo dritti nella tazza del cesso.





2.  Sarebbe ugualmente irresponsabile provare a manipolare gruppi di estremisti, provare ad assoldarli per raggiungere i propri obiettivi politici sperando di riuscire a "gestirli". Sono intelligenti quanto voi e non saprete mai chi sta manipolando chi.





3. La Russia praticamente non ha più basi militari all'estero. La nostra politica non ha un carattere globale, offensivo o aggressivo. Pubblicate sul vostro giornale la mappa del mondo, indicando tutte le basi militari americane e vedrete la differenza.





4. Il compito del potere non è solo quello di dare miele: talvolta deve dare anche delle medicine amare.




5. Hitler voleva distruggere la Russia. Tutti dovrebbero ricordare come è andata a finire.



Il tango a quel tempo.

Dai Coltelli agli abbracci.









Tra sporcizia, povertà e malaffare,
nella strada delle bische e dei bordelli,
nei miseri sobborghi dove si accroccano gli emigranti di tutta Europa,
nasce il tango.

Lontani da casa,
smarriti in una babele di lingue,
senza un soldo in tasca,
sotto le stelle di un cielo sconosciuto,
due milioni di nuovi residenti
ringhiano e si annusano come cani diffidenti,
si radunano in cricche malavitose,
si azzuffano e si ammazzano nei vicoli,
si scontrano e si incontrano.
Le culture cominciano a contaminarsi.
I bellimbusti dei bassifondi parlano in codice,
utilizzano un dialetto nuovo, il Lunfardo,
un misto tra italiano, francese e tedesco.
La lingua degli emarginati.
Si pavoneggiano, raccontano le storie delle loro imprese criminali.
E quando quelle storie si imbattono nelle chitarre dei gauchos,
diventano canzoni.
E le canzoni si sa, si ballano.

Il tango a quel tempo
è un ragazzino arrogante,
un bulletto di periferia,
un digrignare di denti,
una filastrocca sconcia su un ritmo sincopato,
è la rabbia dei diseredati,
un duello uomo contro uomo
– affondo e schivata! -
una danza dei coltelli.

Cambia
nel momento in cui incontra l'amore e le sue pene.
Cambia quando il succedersi degli anni
attenua gli ardori e lascia spazio alle disillusioni.
Cambia e canta il dolore di un affetto perduto,
il declino della vecchiaia,
la delusione per un desiderio irrealizzato.
Il ballo non è più una sfida virile,
è un continuo prendersi e lasciarsi fra due innamorati,
l'ultima stretta prima di un altro addio.

Il tango a quel tempo
è una donna sola che osserva l'alba,
è l'attesa di un ritorno,
un pianto silenzioso,
è il sospiro di un innamorato timoroso,
una nostalgia piena di speranza,
è un'attrice drammatica talmente bella e triste
che non si può fare a meno di notarla.

Entra nel cuore dei rampolli di buona famiglia,
viaggia: arriva a New York, poi in Europa,
nei palazzi di Madrid, nei caffè di Parigi.
La sua musica si muove lenta, voluttuosa,
elegante e discreta come un'amante raffinata.
La sua maturità si veste di passione,
di sguardi sensuali, di movenze ardite,
di stanze lussuose, di frasi proibite.

Ma il tempo passa
e passano le mode.
La stanca diva ritorna a casa.

Finisce cosí?
No, il tango non è una vecchia star
imbolsita e decadente:
è ancora quel ragazzino irriverente,
ancora quella donna inquieta,
ed è un genitore amorevole che ci tiene fra le sue braccia,
è il tratto di identità comune della gente argentina,
è la calce che ha unito diverse culture
e ne ha fatto una nazione.

Il tango oggi
è un insegnante senza tempo
che non si stanca di impartirci la sua lezione:

che possiamo scongiurare
il ripetersi e ripetersi ancora
della storia di Caino che continua a uccidere Abele,
che popoli differenti
possono diventare un unico popolo,
se solo decidiamo di riporre il coltello
e ci consegniamo l'un l'altro
in un abbraccio.

lunedì 2 novembre 2015

7 citazioni di Pier Paolo Pasolini

Pier Paolo Pasolini, il dissacratore.






Ma naturalmente per capire i cambiamenti della gente, bisogna amarla.




Io divoro la mia esistenza con un appetito insaziabile.
Come finirà tutto ciò? Lo ignoro.






La serietà! Dio mio la serietà! Ma la serietà è la qualità di coloro che non ne hanno altre.




Chi si scandalizza è sempre banale: ma, aggiungo, è anche sempre male informato.




Solo l'amare, solo il conoscere conta, non l'aver amato, non l'aver conosciuto.




I beni superflui rendono superflua la vita.




Bisogna essere molto forti | per amare la solitudine.




Note biografiche.

Pier Paolo Pasolini nasce il 5 marzo del 1922 a Bologna. Primogenito di Carlo Alberto Pasolini, tenente di fanteria, e di Susanna Colussi, maestra elementare. Il padre, di vecchia famiglia ravennate, di cui ha dissipato il patrimonio sposa Susanna nel dicembre del 1921 a Casarsa. Dopodiché gli sposi si trasferiscono a Bologna.

Lo stesso Pasolini dirà di se stesso: "Sono nato in una famiglia tipicamente rappresentativa della societa' italiana: un vero prodotto dell'incrocio... Un prodotto dell'unita' d'Italia. Mio padre discendeva da un'antica famiglia nobile della Romagna, mia madre, al contrario, viene da una famiglia di contadini friulani che si sono a poco a poco innalzati, col tempo, alla condizione piccolo-borghese. Dalla parte di mio nonno materno erano del ramo della distilleria. La madre di mia madre era piemontese, cio' non le impedi' affatto di avere egualmente legami con la Sicilia e la regione di Roma"

Nel 1925, a Belluno, nasce il secondogenito, Guido. Visti i numerosi spostamenti, l'unico punto di riferimento della famiglia Pasolini rimane Casarsa. Pier Paolo vive con la madre un rapporto di simbiosi, mentre si accentuano i contrasti col padre. Guido invece vive in una sorta di venerazione per lui, ammirazione che lo accompagnerà fino al giorno della sua morte. 
Nel 1928 è l'esordio poetico: Pier Paolo annota su un quadernetto una serie di poesie accompagnate da disegni. Il quadernetto, a cui ne seguirono altri, andrà perduto nel periodo bellico.

Ottiene il passaggio dalle elementari al ginnasio che frequenta a Conegliano. Negli anni del liceo dà vita, insieme a Luciano Serra, Franco Farolfi, Ermes Parini e Fabio Mauri, ad un gruppo letterario per la discussione di poesie.

Conclude gli studi liceali e, a soli 17 anni si iscrive all'Università di Bologna, facoltà di lettere. Collabora a "Il Setaccio", il periodico del GIL bolognese e in questo periodo scrive poesie in friulano e in italiano, che saranno raccolte in un primo volume, "Poesie a Casarsa". 
Partecipa inoltre alla realizzazione di un'altra rivista, "Stroligut", con altri amici letterati friulani, con i quali crea l' "Academiuta di lenga frulana".

L'uso del dialetto rappresenta in qualche modo un tentativo di privare la Chiesa dell'egemonia culturale sulle masse. Pasolini tenta appunto di portare anche a sinistra un approfondimento, in senso dialettale, della cultura.

Scoppia la seconda guerra mondiale, periodo estremamente difficile per lui, come si intuisce dalle sue lettere. Viene arruolato sotto le armi a Livorno, nel 1943 ma, all'indomani dell'8 settembre disobbedisce all'ordine di consegnare le armi ai tedeschi e fugge. Dopo vari spostamenti in Italia torna a Casarsa. La famiglia Pasolini decide di recarsi a Versuta, al di là del Tagliamento, luogo meno esposto ai bombardamenti alleati e agli assedi tedeschi. Qui insegna ai ragazzi dei primi anni del ginnasio. Ma l'avvenimento che segnerà quegli anni e' la morte del fratello Guido, aggregatosi alla divisione partigiana "Osoppo".

Nel febbraio del 1945 Guido venne massacrato, insieme al comando della divisione osavana presso le malghe di Porzus: un centinaio di garibaldini si era avvicinata fingendosi degli sbandati, catturando in seguito quelli della Osoppo e passandoli per le armi. Guido, seppure ferito, riesce a fuggire e viene ospitato da una contadina. Viene trovato dai garibaldini, trascinato fuori e massacrato. La famiglia Pasolini saprà della morte e delle circostanze solo a conflitto terminato. La morte di Guido avrà effetti devastanti per la famiglia Pasolini, soprattutto per la madre, distrutta dal dolore. Il rapporto tra Pier Paolo e la madre diviene così ancora più stretto, anche a causa del ritorno del padre dalla prigionia in Kenia:

Nel 1945 Pasolini si laurea discutendo una tesi intitolata "Antologia della lirica pascoliniana (introduzione e commenti) e si stabilisce definitivamente in Friuli. Qui trova lavoro come insegnante in una scuola media di Valvassone, in provincia di Udine.

In questi anni comincia la sua militanza politica. Nel 1947 si avvicina al PCI, cominciando la collaborazione al settimanale del partito "Lotta e lavoro". Diventa segretario della sezione di San Giovanni di Casarsa, ma non viene visto di buon occhio nel partito e, soprattutto, dagli intellettuali comunisti friulani. Le ragioni del contrasto sono linguistiche. Gli intellettuali "organici" scrivono servendosi della lingua del novecento, mentre Pasolini scrive con la lingua del popolo senza fra l'altro cimentarsi per forza in soggetti politici. Agli occhi di molti tutto ciò risulta inammisibile: molti comunisti vedono in lui un sospetto disinteresse per il realismo socialista, un certo cosmopolitismo, e un'eccessiva attenzione per la cultura borghese.

Questo, di fatto, è l'unico periodo in cui Pasolini si sia impegnato attivamente nella lotta politica, anni in cui scriveva e disegnava manifesti di denuncia contro il costituito potere demoscristiano.

Il 15 ottobre del 1949 viene segnalato ai Carabinieri di Cordovado per corruzione di minorenne avvenuta, secondo l'accusa nella frazione di Ramuscello: è l'inizio di una delicata ed umiliante trafila giudiziaria che cambierà per sempre la sua vita. Dopo questo processo molti altri ne seguirono, ma è lecito pensare che se non vi fosse stato questo primo procedimento gli altri non sarebbero seguiti.

E' un periodo di contrapposizioni molto aspre tra la sinistra e la DC, e Pasolini, per la sua posizione di intellettuale comunista e anticlericale rappresenta un bersaglio ideale. La denuncia per i fatti di Ramuscello viene ripresa sia dalla destra che dalla sinistra: prima ancora che si svolga il processo, il 26 ottobre 1949.

Pasolini si trova proiettato nel giro di qualche giorno in un baratro apparentemente senza uscita. La risonanza a Casarsa dei fatti di Ramuscello avra' una vasta eco. Davanti ai carabinieri cerca di giustificare quei fatti, intrinsecamente confermando le accuse, come un'esperienza eccezionale, una sorta di sbandamento intellettuale: ciò non fa che peggiorare la sua posizione: espulso dal PCI, perde il posto di insegnante, e si incrina momentaneamente il rapporto con la madre. Decide allora di fuggire da Casarsa, dal suo Friuli spesso mitizzato e insieme alla madre si trasferisce a Roma.

I primi anni romani sono dificilissimi, proiettato in una realtà del tutto nuova e inedita quale quella delle borgate romane. Sono tempi d'insicurezza, di povertà, di solitudine.

Pasolini, piuttosto che chiedere aiuto ai letterati che conosce, cerca di trovarsi un lavoro da solo. Tenta la strada del cinema, ottenendo la parte di generico a Cinecittà, fa il correttore di bozze e vende i suoi libri nelle bancarelle rionali.

Finalmente, grazie al poeta il lingua abbruzzese Vittori Clemente trova lavoro come insegnante in una scuola di Ciampino.

Sono gli anni in cui, nelle sue opere letterarie, trasferisce la mitizzazione delle campagne friulane nella cornice disordinata della borgate romane, viste come centro della storia, da cui prende spunto un doloroso processo di crescita. Nasce insomma il mito del sottoproletariato romano.

Prepara le antologie sulla poesia dialettale; collabora a "Paragone", una rivista di Anna Banti e Roberto Longhi. Proprio su "Paragone", pubblica la prima versione del primo capitolo di "Ragazzi di vita".

Angioletti lo chiama a far parte della sezione letteraria del giornale radio, accanto a Carlo Emilio Gadda, Leone Piccioni e Giulio Cartaneo. Sono definitivamente alle spalle i difficili primi anni romani. Nel 1954 abbandona l'insegnamento e si stabilisce a Monteverde Vecchio. Pubblica il suo primo importante volume di poesie dialettali: "La meglio gioventu'".

Nel 1955 viene pubblicato da Garzanti il romanzo "Ragazzi di vita", che ottiene un vasto successo, sia di critica che di lettori. Il giudizio della cultura ufficiale della sinistra, e in particolare del PCI, è però in gran parte negativo. Il libro viene definito intriso di "gusto morboso, dello sporco, dell'abbietto, dello scomposto, del torbido.."

La Presidenza del Consiglio (nella persona dell'allora ministro degli interni, Tambroni) promuove un'azione giudiziaria contro Pasolini e Livio Garzanti. Il processo da' luogo all'assoluzione "perche' il fatto non costituisce reato". Il libro, per un anno tolto alle librerie, viene dissequestrato. Pasolini diventa però uno dei bersagli preferiti dai giornali di cronaca nera; viene accusato di reati al limite del grottesco: favoreggiamento per rissa e furto; rapina a mano armata ai danni di un bar limitrofo a un distributore di benzina a S. Felice Circeo. 
La passione per il cinema lo tiene comunque molto impegnato. Nel 1957, insieme a Sergio Citti, collabora al film di Fellini, "Le notti di Cabiria", stendendone i dialoghi nella parlata romana, poi firme sceneggiature insieme a Bolognini, Rosi, Vancini e Lizzani, col quale esordisce come attore nel film "Il gobbo" del 1960. 
In quegli anni collabora anche alla rivista "Officina" accanto a Leonetti, Roversi, Fortini, Romano', Scalia. Nel 1957 pubblica i poemetti "Le ceneri di Gramsci" per Garzanti e, l'anno successivo, per Longanesi, "L'usignolo della Chiesa cattolica". Nel 1960 Garzanti pubblica i saggi "Passione e ideologia", e nel 1961 un altro volume in versi "La religione del mio tempo".

Nel 1961 realizza il suo primo film da regista e soggettista, "Accattone". Il film viene vietato ai minori di anni diciotto e suscita non poche polemiche alla XXII mostra del cinema di Venezia. Nel 1962 dirige "Mamma Roma". Nel 1963 l'episodio "La ricotta" (inserito nel film a più mani "RoGoPaG"), viene sequestrato e Pasolini e' imputato per reato di vilipendio alla religione dello Stato. Nel '64 dirige "Il vangelo secondo Matteo"; nel '65 "Uccellacci e Uccellini"; nel '67 "Edipo re"; nel '68 "Teorema"; nel '69 "Porcile"; nel '70 "Medea"; tra il '70 e il '74 la triologia della vita, o del sesso, ovvero "Il Decameron", "I racconti di Canterbury" e "Il fiore delle mille e una notte"; per concludere col suo ultimo "Salo' o le 120 giornate di Sodoma" nel 1975.

Il cinema lo porta a intraprendere numerosi viaggi all'estero: nel 1961 e', con Elsa Morante e Moravia, in India; nel 1962 in Sudan e Kenia; nel 1963 in Ghana, Nigeria, Guinea, Israele e Giordania (da cui trarrà un documentario dal titolo "Sopralluoghi in Palestina").

Nel 1966, in occasione della presentazione di "Accattone" e "Mamma Roma" al festival di New York, compie il suo primo viaggio negli Stati Uniti; rimane molto colpito, soprattutto da New York. Nel 1968 e' di nuovo in India per girare un documentario. Nel 1970 torna in Africa: in Uganda e Tanzania, da cui trarrà il documentario "Appunti per un'Orestiade africana".

Nel 1972, presso Garzanti, pubblica i suoi interventi critici, soprattutto di critica cinematografica, nel volume "Empirismo eretico". 
Essendo ormai i pieni anni settanta, non bisogna dimenticare il clima che si respirava in quegli anni, ossia quello della contestazione studentesca. Pasolini assume anche in questo caso una posizione originale rispetto al resto della cultura di sinistra. Pur accettando e appoggiando le motivazioni ideologiche degli studenti, ritiene in fondo che questi siano antropologicamente dei borghesi destinati, in quanto tali, a fallire nelle loro aspirazioni rivoluzionarie.

Tornando ai fatti riguardanti la produzione artistica, nel 1968 ritira dalla competizione del Premio Strega il suo romanzo "Teorema" e accetta di partecipare alla XXIX mostra del cinema di Venezia solo dopo che, come gli viene garantito, non ci saranno votazioni e premiazioni. Pasolini è tra i maggiori sostenitori dell'Associazione Autori Cinematografici che si batte per ottenere l'autogestione della mostra. Il 4 settembre il film "Teorema" viene proiettato per la critica in un clima arroventato. L'autore interviene alla proiezione del film per ribadire che il film è presente alla Mostra solo per volontà del produttore ma, in quanto autore, prega i critici di abbandonare la sala, richiesta che non viene minimamente rispettata. La conseguenza è che Pasolini si rifiuta di partecipare alla tradizionale conferenza stampa, invitando i giornalisti nel giardino di un albergo per parlare non del film, ma della situazione della Biennale.

Nel 1972 decide di collaborare con i giovani di Lotta Continua, ed insieme ad alcuni di loro, tra cui Bonfanti e Fofi, firma il documentario 12 dicembre. Nel 1973 comincia la sua collaborazione al "Corriere della sera", con interventi critici sui problemi del paese. Presso Garzanti, pubblica la raccolta di interventi critici "Scritti corsari", e ripropone le poesia friulana in una forma del tutto peculiare sotto il titolo di "La nuova gioventu'".

La mattina del 2 novembre 1975, sul litorale romane ad Ostia, in un campo incolto in via dell'idroscalo, una donna, Maria Teresa Lollobrigida, scopre il cadavere di un uomo. Sarà Ninetto Davoli a riconoscere il corpo di Pier Paolo Pasolini. Nella notte i carabinieri fermano un giovane, Giuseppe Pelosi, detto "Pino la rana" alla guida di una Giulietta 2000 che risulterà di proprietà proprio di Pasolini. Il ragazzo, interrogato dai carabinieri, e di fronte all'evidenza dei fatti, confessa l'omicidio. Racconta di aver incontrato lo scrittore presso la Stazione Termini, e dopo una cena in un ristorante, di aver raggiunto il luogo del ritrovamento del cadavere; lì, secondo la versione di Pelosi, il poeta avrebbe tentato un approccio sessuale, e vistosi respinto, avrebbe reagito violentemente: da qui, la reazione del ragazzo.

Il processo che ne segue porta alla luce retroscena inquietanti. Si paventa da diverse parti il concorso di altri nell'omicidio ma purtroppo non vi sarà arriverà mai ad accertare con chiarezza la dinamica dell'omicidio. Piero Pelosi viene condannato, unico colpevole, per la morte di Pasolini.

Il corpo di Pasolini è sepolto a Casarsa.

Memoriale tratto da Biografieonline.it